lunedì 12 febbraio 2007

La concessione del telefono


Ovvero: cronistoria di un pomeriggio a teatro.
Domenica pomeriggio, una bella giornata solare passata in compagnia di amiche a vedere la trasposizione teatrale del romanzo "La concessione del telefono" di A. Camilleri, che firma egli stesso la riduzione teatrale insieme a Giuseppe Dipasquale, a sua volta regista.
A me piace Camilleri, ha uno stile nello scrivere che, non so, mi piglia. Sarà anche il siciliano che utilizza, inframmezzandolo con l'italiano, che desta in me ricordi atavici (io per metà "sicula sugnu") e mi ritornano in mente i miei parenti, il mio papà - che tuttavia siciliano non lo ha mai parlato in casa, sarà che mamma era perugina ^___^ - e tutto il modo di fare e pensare dei siciliani.
Orbene, appuntamento ieri pomeriggio alle 17.00 per la pomeridiana all'Eliseo. Ci troviamo tutte e tre, "moi" & MG & "Beastie", davanti al teatro, giunte appena in tempo per entrare senza doverci scapicollare, ma non prima di aver notato che l'età media degli spettatori oscillava fra i 60 e 70 anni :-D
Era simpatico vedere soprattutto le signore vestite come se stessero andando ad una "prima" teatrale. Io a teatro ci vado pochino, ma le rare volte in cui ci sono stata mi sono sempre vestita abbastanza casual, forse perchè non riesco proprio a entrare nell'ottica che a teatro ce devi da annà elegante; per me è come andare al cinema, anche se a volte ciò che viene messo in scena è qualitativamente superiore.
Ma torniamo al teatro... ci mettiamo in fila aspettando che il nostro biglietto venga "punzonato" e vediamo che sulla scala che porta al foyer c'è una, diconsi una, sola ragazza con i capelli letteralmente dritti che fa da "bigliettaia" e regolatrice del traffico scaligero, cercando di agguantare le nonnine che, con fare sciolto e noncurante, le passano accanto senza far vedere il biglietto [N.B. il teatro era "Tutto esaurito"]
Superata questa prima barriera ci avviamo verso i nostri posti: Balconata B, fila V posto 16, 24 e 26.
Entrate in balconata, comincia l'affannosa ricerca del posto perchè, non si sa per quale oscura ragione, credevamo che la fila fosse la B e V stesse per "quinto"... comunque, perdiamo almeno cinque minuti per capire che: da metà del teatro, guardando il palcoscenico, verso la nostra sinistra i posti sono dispari, dalla metà verso destra i posti sono pari. Bene!! Troviamo la fila V (come Venezia) e cominciamo a cercare i numeri che, alla fioca luce delle lampade, non è che si vedessero un granchè. Trovati finalmente anche i posti (tuttavia non eravamo le uniche "rintronate" nel cercare il posto a sedere: c'è stato un via vai di persone per parecchio tempo, anch'esse intente a capire come funzionassero le file, non come al cinema), cerchiamo di non scapicollarci per i ripidi scalini e, soprattutto, cerchiamo di metterci sedute con fare compito e composto perchè la distanza fra un posto e l'altro è veramente risicata. Io, forte della mia altezza di un metro e una banana, sono riuscita a non toccare il sedile della persona che mi stava davanti mantenendomi composta e con la schiena dritta, le altre due amiche hanno faticato un pò ma siamo riuscite a sistemarci proprio pochi minuti prima che iniziasse lo spettacolo.
Voce fuori campo registrata che avverte che lo spettacolo sta per inziare e viaaaa... ecco la scenografia molto spartana, che ricorda molto i vecchi archivi polverosi con faldoni enormi piazzati in ogni punto del palcoscenico e poi.. quasi tre ore di puro divertimento che mi hanno lasciato più che soddisfatta.
Per farla breve la storia è questa:
SPOILER chi non ha letto il libro e non vuole sapere la trama si fermi qua perchè inizia l'avventura.
Sicilia, 1891/92. Il protagonista, Filippo Genuardi, fa "rispettosa domanda" per ottenere la concessione di una linea telefonica privata al prefetto di Montelusa ma, il tapino, erra nello scrivere il cognome del suddetto prefetto (da Marascianno lo trasforma in Parascianno che, pare, nel dialetto napoletano sia parola ingiuriosa assai) e da quel momento iniziano i suoi guai, con il prefetto paranoico e amante della smorfia che, spesso, parla solo tramite i numeri del suddetto gioco. Marascianno, convintosi che il Genuardi sia un pericoloso sovversivo lo fa controllare dalla Benemerita Arma dei Reali Carabinieri, mentre il caro Pippo si mette nei guai di suo volendo ottenere l'aiuto anche di un mafioso locale, il commendatore Longhitano, e cercando, tramite lettere spedite a Ministeri e Direttori, di poter ottenere questa agognata linea telefonica che, sapremo alla fine, gli avrebbe permesso di concertare con la seconda moglie [giovane] del suocero i convegni amorosi.
Il libro, ma anche l'opera teatrale, si sviluppa quasi tutto sulle lettere che vengono inviate dal Genuardi al Prefetto o al Ministero, oppure dal Prefetto ai Carabinieri e viceversa, oppure dal Reale corpo di Pubblica sicurezza al ministero dell'interno e così via, con alcuni intermezzi di "vita vissuta" quando il Genuardi, o gli altri protagonisti, devono interagire fra di loro. Si crea così questo doppio piano di lettura: da una parte i botta e risposta tramite lettera, dall'altra le quotidiane miserie del Genuardi (non proprio uno stinco di santo visto che cornifica la moglie, non esita a vendere il suo migliore amico, Sasà La Ferlita, al mafioso locale a cui Sasà doveva molti denari, e in pratica vive alle spalle del suocero che gli fornisce soldi e mezzi per campare in mezzo al lusso).
La storia non finisce bene: il Genuardi verrà ucciso dal suocero che scopre, tramite lettera anonima speditagli da un "caro amico di Pippo" (Sasà) la tresca fra la sò mogghiera e quel grannissimo cornuto di Pippuzzo. Il suocero stesso si uccide e la Benemerita, per mettere tutto a tacere e non passare ancora come l'Arma che si accanisce sui deboli [i Carabinieri non avevano mai smesso di considerare Pippo un sovversivo socialista], fa scoppiare il magazzino nel quale si era consumata la tragedia asserendo che fu tutta opera del Genuardi che stava costruendo una bomba per chissà quali futuri attentati, e il suocero c'era andato di mezzo, meschino!, mentre le uniche due persone che credevano nell'innocuità di Pippo [il delegato Spinoso della polizia e il commendatore Parrinello], vengono spedite in Sardegna, ritenuta la punizione peggiore che poteva esistere nella mente dei burocrati sabaudi.
Anche nella trasposizione teatrale la lingua di Camilleri la fa da padrone, con i suoi modi di dire, i suoi neologismi, i suoi intercalari particolari che danno alla recita quel qualcosa in più che, forse, nel libro non si riesce a cogliere. Un conto è leggere che "il tizio si cataminò in tutta prescia e in un vìdiri e svìdiri s'arritrovò dabbanne", un altro è sentire questa stessa frase in siciliano.
Il protagonista a teatro era Francesco Paolantoni coadiuvato da attori siciliani veramente molto bravi. Gli unici momenti, per me, di stanca o durante i quali non riuscivo a capire bene che c'azzeccasse questa o quella battuta sono stati quando il Paolantoni dava sfogo alla sua verve comica cominciando a parlare in quel suo napoletano stretto, tipico di alcuni suoi sketch, che francamente non è che c'entrasse molto, e quando due protagonisti si intrattengono in una sorta di siparietto da varietà sull'incomprensione linguistica, carino ma francamente un pò lungo.
Giudizione globalone 8+
A fine rappresentazione, passeggiata per via Nazionale e poi alla staziun a prendere, ognuna, il mezzo fornito dal Comune di Roma per tornare a casa.
Alla prossima!!

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